Infelicità senza desideri
Apparso in lingua tedesca nel 1972, Infelicità senza desideri diviene subito un imprevisto bestseller e resta forse, ancora oggi, il libro più amato di Peter Handke. Un libro che, complice lo straordinario equilibrio tra scrittura e ineffabilità, la critica non ha esitato a elevare al rango immortale di classico. «Il romanzo di un rapporto istintuale e fisico elementare come quello con la madre» – Claudio Magris, Corriere della Sera «In questo splendido testo Handke ha veramente realizzato l’impossibile» – Giorgio Manacorda, La Stampa Una donna invisibile. Una donna la cui vita abbraccia anni terribili, dall’affermazione nazista in Austria alla seconda guerra mondiale, alla paura che pervade l’Europa postbellica. Una donna che, per dare un padre al figlio che aspetta da un uomo sposato, rinuncia al proprio sorriso, decide di seguire un sottufficiale della Wehrmacht e di trasferirsi con lui a Berlino. Alla fine della guerra, di ritorno nel paese di origine, scopre la letteratura – Hamsun, Dostoevskij, Faulkner – ma non riesce a trovarvi l’agognata consolazione. Il sorriso perduto riaffiora in una smorfia, i sogni del futuro sono ridotti al rango di racconti del passato. Al termine di una vita banale e avara di affetti, passata a salvare le apparenze, questa donna decreta la propria incompatibilità con il mondo che la circonda e decide di togliersi la vita, ingoiando una manciata di pillole. È il 21 novembre 1971. La donna ha cinquantun anni ed è la madre di Peter Handke. Di fronte a questo suicidio, appreso dai giornali, il giovane scrittore austriaco sente la necessità di ricomporre con le parole quell’esistenza mancata, quella vitalità offesa e ridotta a meccanismo biologico e coatto. Lo fa rivolgendosi alla narrazione, come sempre. Ma questa volta non può, non riesce a prendere le distanze dal racconto, perché quella della madre non è la vita sospesa di uno dei tanti suoi personaggi, ma una vita stroncata da un tragico, volontario epilogo.
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