Alibi
"Insensibile al linguaggio poetico del Novecento, "Alibi" risale a una tradizione che non ha né tempo né luogo precisi ma si confonde con l'idea, costituita e trasmessa nei secoli, che il parlare poetico sia un linguaggio nobile, raro, elevato, prezioso, il vestito per così dire, cosparso di gioielli e "spettacoloso", col quale i pensieri tragici i concetti sublimi vanno in giro per il mondo e si mostrano al pubblico. Si può anche dire così: ciò che la tradizione regala a "Alibi" è solo l'introduzione, l'eco del parlare poetico sentito come uno strumento adatto alla sincerità ma anche alla finzione, inventato e fatto apposta per dirsi e dire la verità ma anche per cammuffarla, declamarla, ingannarla - srumento ambiguo sul quale si possono sempre accordare, truccandole, delle confessioni da quaderno segreto troppo roventi per non cifrarle (alibi), e troppo cifrate per non chiedere aiuto a un codice. Questo aspetto del linguaggio poetico e in "Alibi" esasperato, spinto fino ai confini dell'artificio e della teatralità solitaria, a luci spente: da una parte, la poesia è la veste, l'indumento di scena che la Morante afferra in un angolo della stanza per coprire la nudità delle sue espressioni; dall'altra è la formula magica, il sortilegio con cui si fanno i vaticinii e si chiedono le risposte al futuro."(dalla prefazione di Cesare Garboli)
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