Vaga lingua strana. Dai versi tradotti

Vaga lingua strana. Dai versi tradotti

Nel percorso poetico di Giovanni Giudici è palpabile la contiguità dei versi in proprio con quelli del poeta traduttore. La 'lingua strana' non è solo e tanto quella straniera, ma soprattutto quella della poesia: tradurre, per Giudici, significa inoltrarsi in un paese sconosciuto, conquistare quella poesia e con essa qualche lacerto della lingua 'estranea' in cui è scritta. In "Vaga lingua strana" lo stesso poeta ha raccolto un'ampia scelta delle sue traduzioni, dal "Pange lingua" di Tommaso d'Aquino a "Donne" e Milton, da Coleridge alla Dickinson, da Hopkins al Novecento di Pound, Stevens, Eliot e Sylvia Plath, fino ai cechi Nezval, Halas, Orten, Seifert e Holan. E' un percorso che ha segnalato al pubblico italiano voci di notevole interesse. E mette anche in luce una serie di affinità tra Giudici e gli autori che traduce: dal confronto con l'originale emerge con grande evidenza la tensione linguistica che caratterizza la creazione poetica e che ha portato fino all'acquisizione di nuovi elementi nel suo linguaggio. Il testo contiene poesie di: Tommaso d'Aquino, Shakespeare, Donne, Milton, Dryden, Coleridge, Dickinson, Hopkins, Yeats, Frost, Stevens, Pound, Eliot, Plath, Nezval, Halas, Orten, Seifert, Holan e una di autore anonimo.
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