La stortura
Infermità del corpo e infermità della nazione, anzi del pianeta fanno un tutt'uno drammaticamente vessato e dolorante in questo poema-monologo nelle cui lasse o variazioni giunge, mi sembra, a un punto davvero decisivo di incandescenza e (senza alcuna contraddizione) di equilibrio e compattezza formale uno dei più vividi talenti espressivi suscitati negli ultimi decenni dalla riluttanza a morire della nostra povera, martoriata, meravigliosa lingua italiana. C'è qualcosa di antico, di solennemente proverbiale e al tempo stesso di violentemente, intrepidamente esposto (tramite un continuo lavorio di ibridazioni lessicali e timbriche) alle vicissitudini e ai disastri della contemporaneità nella pronuncia di Jolanda Insana, resa qui, rispetto alle sue prove passate, ancora più irrecusabile da un rintoccare quasi ossessivo di rime non meno allarmanti che appaganti. Già in un'altra occasione m'era parso di dover parlare, per lei, di concretezza visionaria; ora, ferma l'aggettivazione, sono tentato di arrischiare un sostantivo ben più esigente: realismo; ma realismo quale si può trovare, se si guarda alla nostra tradizione, soprattutto in alcuni grandi poeti dell'anima, da Jacopone a Michelangelo a Testori. (Giovanni Raboni)
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