Gli anni felici. Realtà e memoria nel lavoro dell'attore
Che cos'è questo libro, "Gli anni felici", scritto da un grande attore di teatro nel vivo di una fortunata esperienza ancora in pieno svolgimento? Sbaglierebbe chi si attendesse una raccolta di memorie, un'autobiografia tessuta di ricordi e colorita di aneddoti. Il critico teatrale o lo storico del teatro non mancherà certo di trovarvi un prezioso contributo alla ricostruzione delle vicende sceniche del secondo Novecento, rivissute da un loro protagonista, caro al miglior pubblico. Ma anch'essi saranno sorpresi, e con loro il lettore non professionale, da tutto ciò che di più, e di tutt'altro, gli offrono queste bellissime pagine. In un'epoca come la nostra in cui la regia ha acquistato l'importanza che sappiamo, l'attore è spesso considerato, diminutivamente, uno strumento dell'orchestra, esaltato nelle sue virtù naturali da chi sa servirsene ai propri fini. Tutt'altra l'immagine che se ne aveva in un passato remoto, quando il suo trasformismo era ammirato e temuto come qualcosa di stregonesco. E come non pensarlo di fronte alla magica capacità di assumere di volta in volta una personalità diversa, di appropriarsene i caratteri e i modi, come se solo a qualcuno, diversamente dai comuni mortali, la sorte avesse concesso di vivere non una ma più vite? Qualcosa di simile, ma su tutt'altro piano, ci avviene di ammirare leggendo questo libro: che è la carta d'identità di un intellettuale, di apertura europea, capace delle esperienze più disparate, l'una legata all'altra in una coerente unità culturale. Dove la passione dominante per il teatro fa tutt'uno con la raffinata competenza nel campo della musica e soprattutto con gli studi d'arte, approfonditi fino a produrre una pregevole monografia su un raro pittore del Quattrocento francese come Jean Fouquet. Itinerari niente affatto ordinari si dovrà ammettere, non si dice per un teatrante ma per chiunque; a cui sarà da aggiungere, non ultima (anzi qualità riassuntiva di tutte le altre), la rara virtù di chi si dà qui a conoscere, con felice sorpresa, per un sicuro scrittore in proprio. Si tenga pure in conto l'origine toscana di Lombardi; ma non può sfuggire che i nomi che tornano più frequenti sotto la sua penna sono quelli, amati, di un Longhi, di un Pasolini, di un Testori, maestri di generazioni diverse egualmente applicati all'esercizio sapiente della scrittura. Si vedano per un esempio le squisite ecfrasi di opere d'arte, si tratti della "Resurrezione" di Piero della Francesca a Borgo San Sepolcro o delle rappresentazioni scultoree dei "Mesi" nelle cattedrali romaniche. E che dire, natura e cultura cooperando tra loro, dei 'ritratti' di amici distribuiti lungo l'intiero percorso? Da quello ambientato di Luigi Baldacci allo schizzo di Pasolini apparso, come una visione, sulla piazza del duomo di Arezzo; dal ricordo del giovanissimo storico d'arte Giovanni Agosti, nella sua casa-museo di Milano, al duetto dei due antiquari fiorentini che si propongono come i 'buffi' di uno spassoso raccontino alla Palazzeschi. Ma al lettore vorremmo suggerire, per introdurlo al piacere della prosa, proprio i due splendidi capitoli di apertura, "Silenzio" e "Memoria". Qui lo scrittore non è da meno dell'attore applaudito sulla scena. (Dante Isella)
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