La scomparsa dei colori
Quella che Luigi Manconi sta combattendo da ormai dieci anni è, come lui stesso la definisce, una «battaglia mortale» tra il buio progressivo della cecità e la luce che resiste – ora ridotta a un’opalescenza indistinta, ora invece straordinariamente accesa, simile un barlume tenace o a un lampo improvviso. Costretto ad affrontare l’irreparabilità della perdita, ma determinato a non soccombervi mai, nella "Scomparsa dei colori" Manconi accompagna il lettore nell’universo in continua trasformazione di chi non vede più, regolato da un nuovo rapporto tra i sensi e definito da un inevitabile scarto tra realtà, immaginazione e memoria. Lo fa senza indulgere ai sentimentalismi, ma anzi con un pizzico di ironia, servendosi della tavolozza di colori sempre più ridotta e ingannevole che ancora lascia filtrare le forme del mondo, mentre giorno dopo giorno le mani, «terminale fragile» della sua soggettività, prendono il posto degli occhi come strumento imprescindibile di conoscenza e di connessione con gli altri.
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