Il ragazzo di Telbana
Un libro allegro e sorprendente che racconta di come le difficoltà si superino insieme agli altri. Ogni tanto arriva un collega più stronzo o più razzista degli altri che mi fa le sue battute del cavolo, mi urla sul muso che per stare meglio in Italia bisogna buttare fuori tutti gli atranieri, non lo ascolto neanche, non mi lascio attrarre dalla negatività, a meno che non rompa davvero e allora posso anche reagire, prima cercando di ragionare, poi perdendo la sacrosanta pazienza. C'è qualcuno che ha sperimentato Tawfik quando perde la sacrosanta pazienza. Ma in genere, sinceramente non me la prendo, non mi sento sfiorato dagli imbecilli, se mi metto ad ascoltare le cavolate che dicono non vado più avanti. Tawfik, egiziano, ha sedici anni quando parte da Telbana, una cittadina a nord del Cairo, in fuga dalla povertà e da suo padre, un severo sacerdote-contadino il cui principio è: «Devi allungare i piedi fino a dove arriva la coperta». Senza neanche il coraggio di salutare sua madre parte da solo, attraversa il deserto, si imbarca e arriva in Sicilia. Qui comincia ad annotare su un foglietto le parole italiane che sente: «Le parole sono le cose più utili da portarsi dietro, da mettere in tasca o meglio in testa, sono proprio le parole che spesso ti scacciano le nuvole dalla testa».Sarà vagabondo per le strade di Milano, lavorerà e studierà fino a svenire sui banchi di scuola, ma non smetterà mai di credere nei propri sogni. Il signor Abdel, la dolce Marlene con la sua zebritudine, il mandingo Alù, Cinzia e Sandro, il misterioso professor Vladimir, l'amico Peppe saranno i suoi angeli protettori.