Sul buon giornalismo. Conversazioni con John Berger e Ryszard Kapuscinski
Il lavoro del giornalista è cambiato enormemente nel corso degli ultimi trent’anni. Molti degli aspetti tecnici che formavano la quotidianità di un reporter alla fine del XX secolo – appunti su carta, articoli dettati al telefono, comunicazioni inviate via telegramma o fax – sono ormai scomparsi. Eppure, le motivazioni, i sacrifici, le decisioni alla base del lavoro sono rimasti gli stessi. In questi tre dialoghi raccolti da Maria Nadotti due grandi figure che hanno attraversato il Novecento riflettono sui modi e le strade dell’indagine e della narrazione. Ryszard Kapuściński, imprescindibile maestro del reportage, ricorda la scelta etica che ha guidato la sua vita professionale; riflette sulla necessità dell’esperienza diretta e del rischio, sull’attenzione per le fonti – soprattutto per le persone – e sui vantaggi dell’anonimato sul campo, sul rapporto tra giornalismo, potere e indipendenza. Una riflessione a cui dà avvio, nel primo colloquio, un altro grande maestro del Novecento: John Berger. Scrittore, pittore, critico d’arte, uomo allenato a cogliere la verità celata negli aspetti minimi del quotidiano, Berger affianca il suo punto di vista di “contadino” stanziale a quello del “marinaio” Kapuściński in perenne movimento. E lascia indicazioni preziose per qualsiasi aspirante giornalista, e per chiunque scriva: “un invito ad ascoltare per poi trovare una stanza per la storia, l’abitazione del racconto, dove si entra per scriverlo”.