Amianto. Una storia operaia
È il 1969 e al Cardellino di Castiglioncello, sul litorale livornese, una Nada appena giunta in vetta alle classifiche sorride circondata da un gruppo di ragazzi. Fra questi c’è Renato Prunetti, un operaio che al Cardellino lavora stagionalmente come cameriere, ma che la grandissima parte della sua vita la trascorrerà dentro le fabbriche di tutta Italia, come saldatore trasfertista. Da Piombino a Novara, da Casale Monferrato a Taranto, da Mantova all’entroterra ligure, non si contano gli stabilimenti industriali in cui l’operaio Prunetti è impiegato. Il lavoro è duro, ma per fortuna nella vita c’è anche altro: le gite in campagna, il calcio, le uscite al bar con amici e colleghi, i figli da crescere. E Renato sa approfittare dei piccoli piaceri dell’esistenza così come sa lavorare a regola d’arte quando si trova in fabbrica. Lo spirito irriverente e la battuta fulminante lo accompagnano ovunque e fanno pensare che quest’uomo saprà godersi la pensione. Ma in fabbrica Renato ha respirato di tutto: zinco, piombo e buona parte della tavola degli elementi di Mendeleev, fino a quando una fibra d’amianto trova la strada verso il torace. È così che il destino dell’operaio Prunetti si compie prima del tempo, per una malattia mortale che si sarebbe potuta evitare se i padroni avessero investito nella salute dei lavoratori, e non solo negli utili immediati. A ricostruire la vicenda di Renato è suo figlio Alberto che, mescolando affetto e rabbia, risate e dolore, ci restituisce il ritratto di un uomo e di una classe lavoratrice che non rinunciano alla propria storia.