Il corpo docile
Non da tutti i nidi si può vedere il cielo, non tutti i nuovi nati hanno questo privilegio. Milena è venuta al mondo in carcere, ha vissuto lì fino ai tre anni e, anche se ora di anni ne ha ventiquattro, si porta nel corpo quella nascita come una colpa, quella separazione iniziale come una condanna. Forse per questo in prigione ci torna regolarmente, di propria volontà, per prendersi cura dei bambini di Rebibbia, i figli delle carcerate, nel tentativo di risparmiar loro – al piccolo Marlon, che presto verrà strappato alla madre e andrà ad abitare fuori – quel suo stesso dolore. Ma basta un soffio imprevisto per travolgere l'impalcatura che tiene in piedi la sua esistenza e mettere in discussione ogni fragile certezza. L'incontro, apparentemente banale, con un giornalista interessato a pubblicare un servizio sulla vita dei bambini in carcere è un terremoto che la scuote, qualcosa che la attrae e che rappresenta allo stesso tempo un pericolo da fuggire a ogni costo. Perché il desiderio fa scattare le serrature, la costringe a uscire allo scoperto e a scavare al cuore di quel che lei è, delle colpe che si sente addosso. Perché mettersi a nudo con chi appartiene da sempre al mondo di fuori, e solo quello conosce, può essere troppo duro per chi la prigione se la porta dentro.