Bartleby e compagnia

Bartleby e compagnia

Un impiegato metà Pessoa e metà Kafka scrive un diario fatto di note a piè di pagina a commento di un testo fantasma. Con piglio pacato e una raffinata stringatezza stilistica va a caccia di "bartleby", esseri che ospitano dentro di sé una profonda negazione del mondo e prendono il nome del famoso scrivano di Melville che preferiva non fare e non parlare. I bartleby finiscono per non scrivere nulla pur avendo tutto il talento necessario, oppure, se esordiscono, rinunciano presto alla scrittura. Un libro ironico ma anche incantato dal sortilegio della parola.
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Recensione del libro fornita da lottavo.it

Geraldine Meyer

In un’epoca di visibilità a tutti i costi, di presenzialismo come unica “ragion d’essere”, la rilettura di un libro come Bartleby e compagnia di Enrique Vila-Matas (ottimamente tradotto da Danilo Manera) costituisce una sorta di sentiero lungo le molto più stimolanti tappe della negazione. Negazione di sé, negazione della scrittura, negazione di sé in quanto scrittori e, portato il tutto alle estreme conseguenze, negazione della vita o sua apoteosi...

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