Le ultime parole di Mishima
Due grandi critici avvicinano Mishima e lo intervistano. Non sono domande qualsiasi e soprattutto provengono da intellettuali che vedono l'uomo e il letterato Mishima da versanti ideologicamente opposti. Così si snoda una doppia riflessione che getta nuova luce su una delle figure più controverse della letteratura mondiale. Ultranazionalista, devoto all'imperatore, tetragono difensore delle tradizioni marziali, esteta del sangue e del corpo, poliedrico ed eccentrico, Mishima viene avvicinato nel 1970 da un critico marxista suo coetaneo, Furubayashi Takashi, severo censore della sua visione del mondo ma anche sensibile alla sua arte. L'intervista è di poco anteriore al celebre suicidio rituale, il 'seppuku' o 'harakiri'. Kobayashi Hideo, nume tutelare della critica letteraria giapponese e più vicino alla sua ideologia, lo incontra invece per una conversazione quando lo scrittore ha trentadue anni, è già famoso e ha appena scritto "Il Padiglione d'oro". Le due interviste hanno toni differenti e assieme lasciano emergere aspetti decisivi della biografia, dell'ideologia e della poetica di Mishima. Il duplice ritratto scava la complessa fisionomia di un personaggio che non finisce ancora di stupire, che continua a essere un'ambigua figura di culto in tutto il mondo e che ha lasciato opere di inquietante bellezza.
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