Racconti impensati di ragazzini
Esiste una scrittura infantile che non mimi le formule costrittive 'dei grandi'? Si, secondo Enrico De Vivo, il quale riprendendo un'esperienza di Antonio Faeti del 1971 ha introdotto alla narrazione i suoi studenti - una I media di Sant'Antonio Abate, nel 1997-98, una II e una III media di Torre Annunziata, nel 1998-99.Indotti a raccontare, i ragazzini parlano di esperienze personali, di spettacoli, di libri, di eventi di cui sono stati testimoni. Ecco allora la 'grande felicità' e 'il grande dolore', il viaggio e la gita, la cronaca sportiva e le storielle comiche, ecco "Titanic" reinterpretato con libertà e immaginazione. Ne esce una strordinaria sequenza di mini storie 'scritte a orecchio', elementari ed essenziali, buffe e scomposte, drammatiche e burrascose, ma soprattutto 'impensate', non ancora afflitte dalla meccanicità e dalla falsa serenità con cui gli adulti usano la lingua. "Racconti impensati di ragazzini" è un libro corale, senza strategie o folclorismi, tutto ispirato, come dice Gianni Celati, dalla 'spensieratezza' dello scrivere, quando "il linguaggio va via più leggero, più leggero, come una musica". Questi raccontini, scritti in una lingua imperfetta e indefinita, non hanno idee sottintese né una strategia da ostentare né messaggi da esporre, insomma "non sperano di cavarsela": vivono in un territoro intermedio tra parlare e scrivere, e ci dicono com'è fatto il mondo. Semplicemente com'è fatto. O come lo vorrebbero. Che poi è il vero dilemma dei veri scrittori.
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