Grande sertao
Favoloso altipiano del Brasile profondo, deserto-brughiera dei Campos Gerais rinverdito di improvvise palme giganti, il 'sertao' di Guimaraes Rosa è uno spazio magico percorso nell'intrico dei suoi sentieri da santoni a banditi, popolato di mandrie e di piccoli uomini da nomi altisonanti come di eroi di saghe remote. Sono, questi individui, provvisori e paradigmatici, unici e intercambiabili, portatori ciascuno di un'individualissima parola ritagliata con creatività espressionista nel tessuto vivo di linguaggio, Guimaraes Rosa alza il 'sertao' da teatro di gesta rusticane a metafora del mondo, dove l'uomo è ombra platonica e plotinica di un'idea che lo trascende, ma è anche caverna-sertao interiore, scenario diurno e notturno dell'eterna lotta fra Dio e il Diavolo. Vittima, forse, di un inconcluso patto col Maligno, il veccchio bandito-'jagunço' Riobaldo porta nel 'sertao' del cuore, come ogni personaggio di Guimaraes Rosa, il rimorso-angoscia di un peccato originale che lo precede. E il racconto della vicenda che lo ha segnato in gioventù - effettuato in prima persona, nelle forme dell'oralitaà, a un interlocutore fuori campo - trascina il lettore dalla prima riga all'inatesso 'explicit' coll'irruenza di un mai rallentato flusso narrativo. Se, come voleva Guimaraes Rosa, "alle volte un libro è maggiore di un uomo", questo libro magico e consolatorio, in cui il rimpianto dell'amore irrealizzato ha la dolcezza pungente di una colpa di inadeguatezza, è forse il dono più grande che l'America Latina del realismo magico e il Brasile della parola iridata hanno fatto in questi anni a un'Europa di disseccato cerebralismo.