Oro rapace
Equivoci locali da gioco, giovani che si prostituiscono, famiglie spaccate, relazioni difficilissime: nella recente narrativa giapponese il quadro del Giappone di Yu Miri è tra i meno consolatori.Kazuki ha quattordici anni. E' figlio di un facoltoso proprietario di 'pachinko' (un gioco simile al flipper) e cresce senza che nessuno si occupi di lui. La madre ha abbandonato la famiglia; il padre non è in grado di sviluppare affetti, il denaro è l'unico suo interesse. I fratelli, entrambi più grandi di lui, non gli sono di aiuto: Koki soffre di una malattia che ne ha arrestato la crescita mentale e Miho, diciassette anni, trascorre la maggior parte del suo tempo a prostituirsi in cambio dei soldi per fare shopping.Anche con i suoi amici Kazuki riproduce lo stesso schema che crede domini la vita degli adulti: nessuno scambio di affetti, soltanto legami di potere. Così si avvolge sempre più su se stesso e confonde la sua vita con quella virtuale dei video-giochi in cui tutto si risolve nel 'game-end'.Il rapporto con il padre precipita. Durante una lite lo uccide e ne nasconde il cadavere. Kazuki perde ogni contatto con la realtà e la sua giovane esistenza va lentamente alla deriva. E' convinto che 'tutte le cose si risolvono consultando i manuali', ma non riesce più a trovare le istruzioni per uscire dall'incubo.Con questo terribile apologo sull'adolescenza Yu Miri sembra voler mettere in guardia la società contemporanea, non solo quella giapponese, dagli sviluppi imprevisti della tecnologia: la morale e la religione non riescono più a stare al passo. E alla generazione cresciuta nella realtà virtuale, dove il risultato di ogni azione è sempre chiaro e certo, nessuno è più in grado di indicare l'ambigua linea di confine tra il bene e il male.
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