Campo di nessuno (Il)
La storia di una famiglia operaia francese, papà nero, mamma bianca, pochi soldi, la banlieue, gli anni Cinquanta, una casa grande come un armadio a muro, tredici figli e, tuttavia, gioia da vendere. Tutto questo attraverso lo sguardo attento e insieme felicemente deformante di uno dei figli, un ragazzino di dieci anni, che colleziona soldatini, etichette del camembert e parole, nonostante gli eterni zero nei compiti di ortografia. E che racconta l'avventura di un'infanzia felice e stracciona, le sue gioie, le sue pene, i suoi sogni. Come sottolinea Daniel Pennac in un'intervista fatta a Picouly, è stupefacente come la lettura di questo romanzo provochi una forte sensazione di familiarità e identificazione; eppure la storia si svolge nella Francia degli anni Cinquanta, in un ambiente molto circoscritto e, soprattutto, assai inusuale: sono piuttosto rare le famiglie con tredici figli, e tuttavia il lettore non fa fatica a riconoscersi in mezzo a un branco di fratellli e sorelle. La risposta di Picouly è illuminante: "Siamo tutti figli di famiglie numerose. A cominciare dai figli unici, che si circondano di eroi immaginari. Quanto alla vera solitudine, questa può benissimo nascere nell'undicesimo figlio di una famiglia di quindici persone. Ma l'identità, la familiarità viene dal desiderio del tutto, dell'unità perduta. Non si tratta di nostalgia. E' un desiderio insopprimibile (tranne quando si è deciso di sopprimerlo). Nel mio libro ho dieci anni: dieci anni è un'età universale. E' l'età della grazia. L'ultimo momento prima di vedere i fili attaccati alle marionette. A dieci anni si è al colmo della nostra arte".
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