In un diverso welfare. Sogni e incubi
Volontariato e organizzazioni no-profit: questi gli ingredienti principali della ricetta oggi più propagandata per riformare il welfare. Una formula dal consenso tanto diffuso da diventare sospetto: promette di fornire servizi privati di pubblica utilità migliorando l'offerta, con più efficienza e un orientamento al cliente impensabile per i servizi pubblici. In più, si sostiene, grazie al nuovo mercato "sociale" aumenteranno considerevolmente le opportunità lavorative, e altrettanto considerevolmente la disoccupazione calerà. Per ora però aumentano soprattutto i corsi di formazione professionale (finanziati con denaro pubblico, naturalmente). E in base all'esperienza già sappiamo che sulla solidarietà si possono al contrario sviluppare anche dei business, che poco hanno a che fare con l'utilità pubblica. E' pur vero che in questo mondo emergente si esprime la società civile con tutte le sue virtù. Il che non è poca cosa. Ma chiunque sa, liberali compresi, che una società civile virtuosa, che ha cura della cosa pubblica, richiede istituzioni virtuose che l'alimentino. Perciò nel mercato sociale che cresce sul declino del welfare state la principale questione in gioco non è economica, o morale, bensì politica, pubblica, relativa a condizioni di base per condividere discussioni e scelte collettive su quale società vogliamo e costruiamo.
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