Profeti, oligarchi e spie
Fino a oggi l’Italia, insieme a molti altri, si è fatta trascinare dai produttori di tecnologia. All’inizio dell’epoca della rete siamo stati sedotti da servizi attraenti e apparentemente gratuiti. Poi è nato un mondo nuovo, tutto di proprietà delle big tech, pieno di opportunità ma anche carico di distorsioni potenzialmente fatali per la democrazia. Controllo dell’informazione e controllo dei dati degli utenti: a stravolgere i pesi e i contrappesi su cui è basata la democrazia non sono la tecnologia né il web, ma il modo in cui questi strumenti vengono manipolati da enormi concentrazioni di potere economico. La battaglia non è finita. Anzi, è appena cominciata. Abbiamo tre montagne da scalare: capire dove va la tecnologia, concordare regole minime per una sorveglianza democratica, ripristinare i meccanismi antitrust per smontare i nuovi monopoli. L’Europa ha la volontà politica di andare avanti ma non ha la forza. Gli Stati Uniti hanno la forza ma non riescono a esprimere una volontà politica. Intanto la Cina di Xi Jinping affronta il problema mettendo la museruola ai grandi capitalisti dell’economia digitale: non per liberalizzare ma per rendere il suo potere autoritario ancor più assoluto e, nei suoi auspici, irreversibile. Se il mantenimento dell’ordine e la sorveglianza sociale verranno affidati alle macchine, se in un mondo di droni killer, armi biologiche e pandemie vedranno nello Stato soprattutto il titolare del monopolio della violenza legale, allora ribellarsi nelle dittature sarà sempre più difficile. Mentre le democrazie faranno sempre più fatica a difendere gli spazi di libertà. Non possiamo permetterci di cedere alla logica che vede nella presunta saggezza dell’algoritmo il fattore che rende obsoleto il dibattito democratico. È questa la sfida che abbiamo davanti, la deriva che dobbiamo arrestare. Non respingendo la tecnologia ma governandola.
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