Rosa è il colore della Persia. Il sogno perduto di una democrazia islamica
Nell'Europa moderna l'Iran era conosciuto sotto il nome di Persia. L'Occidente amava quell'Oriente esotico che la letteratura persiana gli rappresentava: dal "Divano occidentale-orientale" di Goethe alle trame della letteratura popolare ambientate in caravanserragli e bazar, ai salotti d'Europa pieni di tappeti persiani. Fu per liberarsi di quell'immagine tradizionale che Reza Pahlevi, negli anni trenta, chiese alla comunità internazionale di adottare il nome Iran, da sempre usato dagli iraniani. Oggi, l'Iran è il paese più occidentalizzato nel Medio Oriente; non solo per gli scambi millenari tra civiltà persiana ed europea, e perché negli ultimi due secoli ogni avvenimento politico in Iran è stato direttamente influenzato dalla storia occidentale, ma anche perché dopo la rivoluzione islamica, paradossalmente, la diaspora in Europa e negli Stati Uniti ha fatto dell'Iran un paese ancora più aperto al mondo che al tempo dello scià. La battaglia per riformare lo stato islamico tentata dal presidente Khatami passerà alla storia come l'ultimo tentativo per salvare quella democrazia islamica che era stata il sogno originario della rivoluzione del 1979. Ma la vittoria a sorpresa dell'ultraconservatore Ahmadinejad ha mostrato la forza dell'ala radicale. L'attuale debolezza americana e la consapevolezza di poter influire in modo determinante sulle vicende irachene hanno dato nuova linfa a questa componente. In base ai trattati internazionali l'Iran ha diritto di accedere alla tecnologia nucleare civile, ma sarebbe la prima volta che il presidente di un paese che si prepara a costruire la bomba atomica sia anche un profondo credente nell'Apocalisse.
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