Ragionevole apologia dei diritti umani (Una)
Nella disputa tra l''Occidente' e il 'Resto del mondo', entrambe le parti commettono l'errore di credere che l'altra parli con una sola voce. Il mondo non occidentale assume giustamente che il riconoscimento dei diritti umani abbia le sue origini in una matrice di esperienze storiche condivise da tutti i paesi occidentali: i movimenti contro la schiavitù e gli orrori della seconda guerra mondiale. Ma le nazioni occidentali interpretano i principi di base della loro tradizione in modi assai differenti e danno una diversa giustificazione di questioni come l'inviolabilità della vita privata, la libertà di parola, l'istigazione a delinquere, il diritto di portare armi e il diritto alla vita. Nei cinquant'anni trascorsi dalla promulgazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, i dissensi sono diventati più profondi. L'unanimità morale dell'Occidente sta saltando e questo porta alla luce un'irriducibile eterogeneità. Nonostante tutta la retorica sui valori comuni, la distanza tra Europa e Stati Uniti e tra Occidente e 'Resto del mondo' non può che aumentare. Non c'è ragione per credere che la globalizzazione economica porti con sé la globalizzazione morale. I diritti umani non sono il credo universale di una società globale, ma una lingua comune. Ciò di cui abbiamo bisogno è un vocabolario minimo, condivisibile da tutti, a partire dal quale possano trovare fondamento idee diverse di sviluppo umano. Interventi di Salvatore Veca e Danilo Zolo.
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