Finitudine e infinito. Su Leopardi
"Nel cuore del tragico, l'ala della leggerezza. L'ombra di un sorriso sulla bocca della disperazione. Portare questa leggerezza e questo sorriso in un verso, nelle parole di un verso curve sull'abisso: è questo l'azzardo del pensiero leopardiano. Un pensiero che nel sapere della finitudine avverte, irredimibile la spina del desiderio. Nel sapere della mortalità la passione per il vivente. (...) Il canto mostra il tragico e, allo stesso tempo, lo sospende nella musica della lingua: unisce il nome e l'abisso, la parola e il dolore. E' forse questa l'esile - e abbagliante - verità di cui la poesia è portatrice. (...) Perché è poi la poesia che nel pensiero leopardiano compie l'ultimo balzo. O forse, si dovrebbe dire, più fedelmente, manda l'ultimo profumo. Lo manda nel deserto sul cui cielo le stelle sono spente, le passioni vuote, le speranze consumate. Nessun vento sulla sabbia, se non quello, gelido, del nulla. Un fiore tuttavia vive di questo deserto, ne raccoglie la luce, e i silenzi. Anzi, con il suo dolcissimo profumo "il deserto consola". L'esistenza di ciascun vivente è in questo fiore: nella sua fragilità , nella sua assoluta solitudine. (...) La Primavera che più non torna ha lasciato, nel sopravvenuto deserto, l'ombra di un desiderio. E il suono di un verso. In quel suono tutta la musica - tutti i silenzi - della vita." Antonio Prete
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