Saggi di critica neojunghiana
Di fronte al rigoglioso proliferare delle scuole freudiane, che sempre più si differenziano dalla comune matrice e si distanziano tra loro seguendo traiettorie imprevedibili e inesplorate, la scuola junghiana appare caratterizzata da una particolare staticità e da una sospetta uniformità. Le lievi differenze tra le tendenze oggi evidenziabili si annullano di fronte al prevalere di una massiccia ortodossia.A ben vedere, tale ortodossia - peraltro solo apparente - si radica nel nodo più controverso della dottrina di Jung: la presenza di una 'psiche obiettiva', dotata di caratteri universali e sovrastorici, e la conseguente riduzione dell'elemento più specifico della cultura, il simbolo, a significante di un ipotetico e indimostrabile sostrato immaginale, l'"archetipo". In tal modo anche l'apporto teorico più originale di Jung, il concetto di individuazione, finisce per perdere ogni significato di libera scelta di un destino all'interno delle purtuttavia austere determinazioni della natura e della cultura.La controparte di tale dogmatismo sta poi in un eclettismo affastellatore in cui perde ogni connotazione specifica lo stesso aggettivo 'junghiano', il cui vago significato si stempera in un impreciso atteggiamento estetico e etico piuttosto che in un ben riconoscibile impegno scientifico.I 'Saggi' di Mario Trevi propongono come nodo unitario del pensiero di Jung non un inalterabile dogma teorico ma una generosa e originalissima metodologia che, permettono molte posizioni divergenti e tuttora inedite, apre le porte a un'inesauribile 'concordia discors'.
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