I prati dopo di noi
Matteo Righetto racconta una storia simbolica sul destino dell'umanità dal forte carattere etico e ambientalista, con personaggi subito vivissimi e con la sua, qui più che mai potente, rappresentazione della natura.Mentre il collasso climatico e il riscaldamento globale compromettono la vita dell'uomo nelle pianure arroventate, la montagna sembra rappresentare l'ultimo, precario, rifugio. E sulla montagna altoaltesina – carissima all'autore e ai suoi lettori – si trovano Bruno, Johannes e Leni. Bruno è un ragazzo gigantesco ma paradossalmente attratto dalle cose piccole, in primis gli insetti. In paese viene considerato uno sciocco, ma è capace di comprendere cose che ai più non è dato vedere né sentire col cuore. «Personalmente,» chiarisce l'autore, «ho sempre amato certi personaggi "tonti" o emarginati presenti in molta narrativa scandinava e yiddish e per la stesura di questo romanzo breve ho voluto tratteggiare alcune figure salvifiche di questo tipo.» Il vecchio Johannes, invece, è minuscolo ma arzillo. Rimasto solo nella vita e convinto che il mondo stia finendo a causa dell'avanzata inesorabile dei nuovi barbari, costruisce una bara con l'ultimo abete rosso presente dietro la sua baita, la carica su un carretto e parte per il massiccio dell'Ortles, un monte sacro, sfidando a dama diversi avversari in altrettanti villaggi dove si ferma per passare la notte. Lungo il suo viaggio, tra calura, aridità e squilibrio ambientale che nel corso degli anni hanno sfigurato il volto di quelle terre, incontrerà Leni, una bambina sola e muta che lo accompagna, inconsapevole, verso una sorte comune. Johannes, Leni e Bruno sono naturalmente destinati a incontrarsi, insieme alle ultime api del mondo messe in salvo dal gigante, a ridosso dell'unico nevaio sopravvissuto. Prima di una partita finale a dama.