Favole da riformatorio
Attingendo alla tradizione classica delle favole, e stravolgendola, Ugo Cornia scrive e riscrive venti fabliaux contemporanei, rispettandone per argutezza lo spirito antico ma attualizzandone la critica sottesa ai comportamenti e ai costumi del nostro vivere. Lupi sfrattati o in pensione, alci disoccupate che si ammalano di depressione, Raperonzolo, Cipollonzolo e Pomodoronzolo rapiti dalla jihad agroalimentare, un gattino che vuole diventare il gatto con gli stivali ma non ha i soldi per comprarsi gli stivali... Attingendo alla tradizione classica delle favole, e stravolgendola, Ugo Cornia scrive e riscrive venti fabliaux contemporanei, rispettandone per argutezza lo spirito antico ma attualizzandone la critica sottesa ai comportamenti e ai costumi del nostro vivere. Senza mai rinunciare alla leggerezza e a uno stile piano, accessibile, queste favole si aprono spesso allo scavo profondo dei sentimenti - per esempio ne La favola della cicogna, che «dopo una vita di lavoro indefesso, ormai stanca di tutto, aveva sviluppato in sé il sentimento dell'estrema tragicità dell'esistere, cosa che nella sua testa si traduceva nella frase "meglio sarebbe stato il non esser mai nati"». Non manca neppure l'ironia nei confronti di alcune mode editoriali, come nella favola che chiude la raccolta - quella dei personaggi di favole famose che un bel giorno hanno voluto lasciare la propria favola per trasferirsi in un noir.