Quinto esilio (Il)
Sullo sfondo dei surreali paesaggi baltici - distese bigie e solitarie in cui esplodono improvvise macchie di colore, paesaggi che trovano una perfetta rispondenza nel carattere degli eccentrici, poliglotti baroni locali e dei loro ancor più eccentrici congiunti - si dipana la storia della famiglia Grabhau, segnata da un oscuro destino in cui l'esilio è come una variazione su un tema musicale, una condanna e al tempo stesso una necessità, una coazione a ripetere: dal capostipite Konrad - cinquecentesco Cavaliere di Livonia che dalla nativa Pomerania approda sul Baltico Orientale per portarvi "la civiltà e la luce di Cristo" - all'ultimo barone Grabhau, Eduard, che il vento della storia porterà dalla Russia sino a Roma e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, agli Stati Uniti. Agli inizi del XVIII secolo, il barone Andreas viene costretto dallo zar - che ha sconfitto il sovrano di Svezia a Poltava - a lasciare con i suoi cari il castello avito di Marienschloss. Ben presto i Grabhau si rendono conto che tutte le famiglie della nobiltà baltica, ognuna all'insaputa dell'altra, sono state esiliate nella cittadina di Vologdà: Andreas e la moglie Cristina, la figlia Marie-Dagmar e la governante Praskovia cercano di reagire, ciascuno a suo modo, alla cappa di devastante immobilità in cui si ritrovano imprigionati da un Tempo infinito che grava sulle loro esistenze e soprattutto cercano di abituarsi alla loro nuova vita in Russia. Tredici anni dopo, la firma della pace tra lo zar e il sovrano di Svezia segna la fine dell'esilio e Marie-Dagmar, dando prova di un insospettabile pragmatismo, accetta di andare in sposa al ricco mercante Babisin. Il testimone passa quindi nelle mani di Eduard Grabhau. La scena si sposta prima a Roma, poi negli Stati Uniti. "Specialisti dell'esilio", i Grabhau si portano appresso una modalità del cuore, una condizione esistenziale, una fisionomia morale che continuamente sfiorano l'estraneità al mondo, l'abisso di un divorante senso del vuoto, per poi ergersi in scatti di sensualità, passione, coerenza. Con impeccabile senso della storia Boris Biancheri mette in scena la storia di una famiglia e di un destino che diventa anche smagliante riflessione sull'identità, e sul passato come sola garanzia di identità.
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