Pancetta
"Pancetta" è un romanzo in cui circola - con terroristica ebbrezza - la domanda: che cosa fa di un uomo un poeta? E: che cos'è un poeta? È un bambino? Un provocatore? Un folle? Un profeta? Un cretino? Siamo a Pietroburgo nel 1912: percorriamo la prospettiva Nevskij con Sasa e Pasa e sentiamo che tutto si muove, sta cambiando. Non solo: si mangia pane e poesia e la parola d'ordine è Avanguardia, gettare il passato dal vapore Modernità. Sasa e Pasa arrivano dalla provincia e vogliono studiare matematica, ma non c'è tempo, non c'è spazio: bisogna pubblicare il libro che rivoluzionerà la sorte della poesia russa. Le sbornie e gli incontri all'osteria della Capra vanno di pari passo alle sbornie e agli incontri dello spirito. Corrono parallele alle comiche vicissitudini di Sasa e Pasa quelle drammatiche di Velimir Chlebnikov, il poeta per eccellenza, il poeta che paga l'ostilità di ogni forma di potere (anche quello del celebratissimo Majakovskij) con il boicottaggio editoriale, con il confino psichiatrico, con lo spettro dell'oblio. Un narratore discreto, alle prese con un documentario sulla città della Neva, scivola fra le avventure gogoliane di Sasa e Pasa e la biografia di Chlebnikov, aprendo l'imbuto prospettico fra ieri e oggi, immettendo nella vitalità di una grande stagione della cultura russa gli sgomenti e gli smarrimenti della nostra storia, della nostra lingua, del nostro cinismo. E viceversa. Con un effetto che arriva a una sorta di spaesata commozione. Come tutto questo abbia a che fare con il salume che chiamiamo pancetta è uno dei misteri del romanzo, ma la risposta c'è.
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