In un’epoca di visibilità a tutti i costi, di presenzialismo come unica “ragion d’essere”, la rilettura di un libro come Bartleby e compagnia di Enrique Vila-Matas (ottimamente tradotto da Danilo Manera) costituisce una sorta di sentiero lungo le molto più stimolanti tappe della negazione. Negazione di sé, negazione della scrittura, negazione di sé in quanto scrittori e, portato il tutto alle estreme conseguenze, negazione della vita o sua apoteosi. Vila-Matas, grandissimo scrittore spagnolo, sperimentale e spericolato, un anno fa, nel corso di un’intervista, disse che “Uno scrittore deve sapere che l’importante non è la fama o l’essere scrittore, ma scrivere...
Continua a leggere...