Il mio nome è Katerina
"Poiché nel mondo non esistono più ebrei, ogni settimana celebro da sola il Sabato": così scrive Katerina, vecchia contadina cattolica. Cresciuta nella campagna dell'Europa orientale, a Katerina da sempre è stato insegnato a odiare gli ebrei per nessun altro motivo se non perché hanno assassinato Cristo.Abbandonato il villaggio ancora ragazzina, Katerina va a servizio presso famiglie ebree dove, diffidente e timorosa, ha modo di osservare la ritualità religiosa, la calma, la serietà di questi individui. Il suo essere una 'gentile' fa sì che le consuetudini e le caratteristiche della comunità ebraica giungano al lettore in una luce straniata, talvolta inedita. I lunghi anni di convivenza e le riflessioni provocate dai tragici esiti dei ricorrenti pogrom provocano nella donna una progressiva empatia con la sensibilità e la mentalità ebraiche, al punto da voler far circoncidere il figlio.Romanzo tragico che, nel suo ritmo gentile ma inesorabile, ricorda i grandi maestri russi, "Il mio nome è Katerina" è una storia che prende alla gola e che permette alla mente del lettore di penetrare quell'enorme muro che si frappone tra la comprensione e l'Olocausto. Se è vero, come è stato scritto, che "l'Olocausto è un evento a proposito del quale ora non può essere detto nulla di utile, e tuttavia questo nulla deve continuamente essere detto", è altrettanto vero che Appelfeld riesce a mostrarci, a renderci percepibile una faccia della sua origine.
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