Mondo tardoborghese (Il)
Questo romanzo del 1966, ora tradotto per la prima volta in Italiano, è la più limpida e accorata testimonianza del diretto coinvolgimento di Nadine Gordimer nella tragedia politica e sociale del Sudafrica. La vicenda è lineare: Max, giovane boero di ricca famiglia, ha partecipato alla lotta armata del popolo africano oppresso, ma senza comprendere bene, nella sua ingenuità un po' infantile, un po' aristocratica, la differenza che passa tra rivoluzione e semplice ribellione. La sua morte per suicidio, con cui si apre il racconto, sconvolge la vita della moglie, Liz, obbligandola a una disincantata riflessione sulla propria femminilità e sulle inumane condizioni di vita dei neri. Liz avverte dentro di sé, come già era accaduto a Max, il richiamo della natura giovane e incontaminata che s'incarna nella volontà di riscatto dalla segregazione razziale. Dove Max ha fallito, per l'incapacità di congedarsi da un retaggio familiare di antichi privilegi di classe, lei forse riuscirà: è una donna nuova, ora, in grado di superare, con un atto di volontà e di fede, i dubbi che ancora permangono. E infatti una voce interiore, simile a quella che pare di udire a volte, quando si ascolta il "ronzio" delle stelle, sta pronunciando le parole mitiche della speranza: parole utopiche, è vero, ma anche le sole che possano "girare nell'orbita più grande che ci sia".
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