Salutz 1984-1986
Legato fin dall'origine al nome di "Salutz", il libro che costruito per l'intenso e ossessivo spazio di un biennio, Giovanni Giudici non ha voluto sostituire con altro titolo più accattivante l'antico termine provenzale; a un medesimo grado di pertinenza, avrebbe potuto del resto attingere, per analogo prestito, alla tradizione del Minnesang germanico, anch'essa qui rievocata. Ma certe allusioni alla convenzione letteraria (tra cui l'uso del "voi", allocutivo cortese) altro non sono, in questo inaspettato e commosso poema di "maschere" e "senhals", che procedimenti stilistici volti a condurre all'assolutezza dell'arte una materia fin troppo sangue-e-lacrime, fin troppo creaturale. E una funzione alquanto simile appare affidata ai vari scatti e scarti d'ordine più propriamente linguistico, incursioni in domini alieni o irruzioni di una fantasia tesa a toccare la misteriosa cosalità di parole-stelle che guidano la "Queste" del poeta, moderno eroe di fiaba, nel suo inseguire (ma talora sfuggire) una Minne che è forse la Poesia stessa in quanto senso della Vita: ora buia spina punitrice, ora ingannevole miele, madre-amante, grembo della notte originaria e finale. Esempio di una linea italiana che, sotto lo schermo di maniere illustri, propone una lingua poetica audacemente innovativa nella sua "volontà di dire", Salutz segna nell'ampio e ricco paesaggio dell'opera di Giudici una svolta fondamentale; e, insieme, un punto altissimo di evidenza nella poesia contemporanea.
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