La porta stretta
Sortilegio dell'amore tra cugini, tregua inquietante tra desiderio e abitudine, precoce maturazione in un verde labirinto che ha nome Fongueusemare, enfatico miraggio di un'aristocrazia dei sentimenti, connivenza delle letture edificanti: "La porta stretta" (1909) è in primo luogo la storia di una cospirazione pedagogica. Si profila una sfida: contro l'amore tra Alissa e Jérome, l'amore di Alissa per Jérome, o l'amore di Dio in Alissa: l'alternativa è dunque ambigua, a sua volta. Il racconto (il dubbio) scompone questa orgogliosa ascesi: se Alissa dissimula e protrae la rinuncia, e forse meno per delicatezza che nell'inutile attesa di una tentazione risolutiva? C'è, nella "Porta stretta", un'eredità rifiutata: la croce di ametista che Alissa dovrebbe lasciare a una immaginaria figlia futura di Jérome, per ricordo e come pegno di abnegazione. E c'è, si può dire, una gara di infedeltà: da Alissa, che inganna e esclude, che esorcizza l'amore di Jérome attirandolo in una subdola spirale di presenza e assenza; a Juliette, che nel suo breve "momento della verità" perde i sensi, e passa dalla dissimulazione del suo amore per Jérome alla simulazione di una felicità un po' ottusa da madre di famiglia; allo stesso Jérome, che subisce ed assimila implacabilmente gli eventi, e tradisce (sia pure per difetto) su tutti i fronti. La sua reticenza finale di protagonista narratore, che si ritrae, stordito ma placato, umiliato ma disponibile, ai margini delle pagine di diario di Alissa, lasciandole, insieme con le lacrime, tutta la responsabilità del suo sogno di perfezione, è il punto di gravitazione di tutto il racconto, e il suo momento più profondamente gidiano. E' occorsa una lunga, tormentosa e non incruenta dissoluzione per consumare il rigorismo dell'adolescenza, per approdare a questa splendida indeterminatezza, per collaborare, all'immancabile trionfo del più debole a spese del più forte.
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