La storia da dentro
Vent'anni dopo Esperienza, Martin Amis torna a prendere la parola in una fluviale «autobiografia romanzata» che, mescolando il materiale privato all'invenzione narrativa, la meditazione filosofica, il manuale di scrittura, il gossip piccante, il saggio, l'elegia e le splendide «chiacchiere sul nulla», ci restituisce il vibrante ritratto di un uomo e di uno scrittore, ma anche dei suoi mentori, amici e compagni di strada – Philip Larkin, Saul Bellow e Christopher Hitchens in testa. La «storia da dentro» di tutti loro fornisce un'efficace chiave d'accesso a una delle vene piú preziose della cultura contemporanea. «Accorato, generoso e molto commovente, che parli di paternità, d'amore o di amicizia. La storia da dentro è il miglior libro che Amis abbia scritto da anni a questa parte» (Alex Preston, «The Observer»). Se Martin Amis è da tempo uno degli scrittori piú elegantemente massimalisti dei nostri tempi, campione di una prosa sinuosa, fluviale e al tempo stesso perfettamente controllata, maestro di intrecci gargantueschi capaci di sorprenderci a ogni passo, La storia da dentro è la definitiva consacrazione del suo particolare genio. A vent'anni da Esperienza, l'autobiografia in cui ha raccontato il rapporto col padre Kingsley e i tanti traumi piú o meno attesi affrontati al volgere della mezza età, Amis riprende le fila della sua vita rimescolando ancora una volta le carte. Romanzo, memoir, zibaldone, manuale di scrittura, centone di critica letteraria: La storia da dentro riesce a essere tutte queste cose insieme, ma è soprattutto una elegiaca e struggente meditazione sull'amicizia e sulla morte, ovvero sulla morte degli amici. E qui gli amici sono il poeta Philip Larkin, il romanziere Saul Bellow e il saggista Christopher Hitchens, tre nomi (a cui andrebbero aggiunti quelli di Vladimir Nabokov, Salman Rushdie, Ian McEwan, Julian Barnes e tanti altri) la cui «storia da dentro» fornisce una preziosa chiave d'accesso a una linea, eccelsa e intransigente, della cultura contemporanea. Ad abitare le pagine di questo libro non sono però solo gli amici perduti e gli scrittori le cui opere continuano ad accompagnarci (nel caso di Martin Amis le due categorie tendono a coincidere), ma anche gli amori presenti e passati, le donne sempre desiderate e mai davvero possedute, che qui si incarnano nella figura sfuggente ed emblematica di un personaggio di finzione, Phoebe Phelps, tirannica, spregiudicata, irresistibile. Da un elegante appartamento nella Brooklyn gentrificata a un remoto villaggio sulle coste dell'Uruguay, dai fumosi uffici del «New Statesman» alle serate ad altissimo tasso alcolico nei pub della swinging London, dalla New York traumatizzata dall'11 settembre alla distopica «Tumorville» di Houston in cui si trova relegato Hitchens alla fine dei suoi giorni, dall'«esilio agreste» nel Vermont di un Bellow che va scivolando nella demenza senile all'inspiegabile autoreclusione di Larkin in uno Yorkshire «dove la nebbia perenne puzza di pesce», Amis ci conduce nei tentacolari meandri spazio-temporali di una vita che non è solo la sua, una vita che non cessa di interpellarci e destabilizzarci.