Maestre d'amore. Giulietta, Ofelia, Desdemona e le altre
Questo libro è una danza. Danzano una danza d'amore i personaggi di Shakespeare, danzano la filologia e la scrittura con gli affreschi di una Londra early modern pennellata con felicità ed esattezza, danza il lettore, che entra ed esce nelle tragedie e nelle commedie di Shakespeare come fossero scene della vita. Danzano Giulietta, Ofelia, Cleopatra, Desdemona e le altre «maestre d'amore» evocate da Nadia Fusini per intrecciare a nostro beneficio il racconto, rinnovato e antico, dell'«ambiguità scandalosa dell'amore». Nessuna scrittrice come Fusini sa fare della materia shakespeariana un'autentica guida per il cuore moderno e i suoi affanni. Questo libro è una danza. Danzano una danza d'amore i personaggi di Shakespeare, danzano la filologia e la scrittura con gli affreschi di una Londra early modern pennellata con felicità ed esattezza, danzano le parole con i giochi delle parole, danza il lettore, che entra ed esce nelle tragedie e nelle commedie di Shakespeare come fossero scene della vita, anche se è consapevole nello stesso istante di vivere la gioia della letteratura, senza sosta dentro e fuori dagli intrecci e dalle trame per vedere che ne fa la letteratura della vita. «La donna è l'ora della verità per un uomo; non c'è niente di piú vero. Scrivo questo libro per dimostrare la verità di tali parole», dice Nadia Fusini al lettore e alla lettrice, chiamati in causa spessissimo nelle pagine con domande che sono inviti alla danza della conversazione: «... del resto non è forse vero che in amore siamo tutti attori? Tra gli amanti chi riceve di piú? Chi spende di meno? In amore, non è osservabile il paradosso secondo il quale chi piú dà, non diventa piú povero? ... Che il godimento sessuale in sé e per sé non crei un rapporto con l'altro, lo sanno bene Antonio e Cleopatra. Non è proprio qui la tristezza del coito?» Questo è un libro sull'amore prima ancora che un libro sulla letteratura, e Giulietta, Ofelia, Desdemona, Cleopatra, la Bisbetica, perfino Jill e Jack, ci raccontano quale fu l'«immensa novità» con cui Shakespeare, la mente e il corpo di Shakespeare, pensarono il femminile e il maschile all'inizio dell'epoca moderna. Forse aiutati in parte dal fatto che a teatro i ruoli femminili dovessero essere interpretati da giovani attori, forse per l'usanza del cross-dressing che imperversava nella Londra dell'epoca, la mente e il corpo di Shakespeare ci parlano di un corpo d'amore che non è «né femmina, né maschio, ma femmina e maschio insieme», ci dicono che «per vivere, che è la stessa cosa che amare, bisogna disobbedire», che le donne vivono «l'avventura eroica di amare in una concezione paritaria della differenza». Ci parlano insomma dell'«ambiguità scandalosa dell'amore». E alla fine di tanto eros , al lettore sembra di scoprire di nuovo a che cosa serva per davvero la letteratura: non a imparare a vivere, ma a vivere. Una questione di etica.