L' arte di non essere governati. Una storia anarchica degli altopiani del Sud-est asiatico
L'appassionante storia millenaria delle popolazioni di un'immensa regione del Sud-est asiatico, della loro lotta per l'autodeterminazione e delle loro strategie di rifiuto del potere statale. Un'odissea capace di eludere i confini geografici tradizionali e demolire i nostri luoghi comuni piú persistenti: cosa significa la parola «civiltà»? quando, invece che di progresso, essa diventa sinonimo di oppressione? cosa imparare dai popoli che vollero evitare il controllo dello Stato scegliendo di restare apolidi? quale la vera natura delle relazioni tra Stati, territori e popolazioni? Il capolavoro del grande antropologo americano, un modello di controstoria globale. «Un saggio ricco di umanità e profondità culturale… un libro che cambierà il modo di pensare alla storia dell’umanità e a se stessi… una delle opere di storia sociale e di teoria politica piú affascinanti e provocatorie che io abbia mai letto». - Robert W. Hefner, Boston University Per duemila anni, fino a metà del secolo scorso, le comunità di una vasta regione montuosa del Sud-est asiatico hanno tenacemente resistito all’idea di integrarsi in una qualche forma di dominio da parte dello Stato. Zomia è il nome di quest’area d’insubordinazione che non appare su alcuna carta (una zona montagnosa grande come l’Europa, che attraversa cinque nazioni del Sud-est asiatico e quattro province della Cina), ed è il vasto altopiano dove trovarono rifugio circa cento milioni di persone unite dalla volontà di sfuggire al controllo dei governi delle pianure. Trattati come «barbari», questi popoli nomadi misero in atto strategie di resistenza a volte sorprendenti per evitare lo Stato, sinonimo di lavoro forzato, tasse, epidemie e leva militare obbligatoria. Favorirono pratiche agricole che incentivavano la mobilità residenziale, insieme a forme sociali egualitarie, fondate sull’eclettismo religioso e l’accoglienza. Alcuni popoli decisero persino di abbandonare la scrittura per evitare l’appropriazione della loro memoria e della loro identità, mentre l’oralità consentiva di riformulare continuamente la negoziazione degli accordi tra gruppi. Zomia ci rammenta che «civiltà» può essere sinonimo di oppressione e che il significato della storia non è cosí univoco come pensiamo.