Ad nòta
Quèll che sa i mórt, e i n dì gnént, i sa tótt, ènch' quant t si 'd chèsa, da par tè, la nòta, pórti, finestri céusi, lòu i è lè, che t si ndè lèt, l'è tèrd, t'é smórt la luce, t si svégg, te schéur, u t vén ad chi pensir ch'i n s pò déi, lòu i è sémpra alè, i t lèz dréinta, mo i è bón, i fa féinta da no èsi. Quel che sanno i morti, e non dicono niente, sanno tutto, anche quando sei in casa, da solo, la notte, porte, finestre chiuse, loro sono lí, che sei andato a letto, è tardi, hai spento la luce, sei sveglio, al buio, ti vengono di quei pensieri, che non si possono dire, loro sono sempre lí, ti leggono dentro, ma sono buoni, fanno finta di non esserci.Come in tutte le sue raccolte poetiche, in Ad nòta, cioè la notte, Baldini mette in scena personaggi di paese, ma come stravolti, beckettiani. Riscatta il bozzetto di provincia con una visionarietà surreale e con un'affabulazione che provoca continui cortocircuiti mentali. Ma proprio in questo libro che sta in mezzo alla sua produzione poetica, dopo La nàiva e Furistír e prima di Ciacri e Intercity, Baldini ha collaudato quel monologo torrentizio senza pause tanto efficace nella recitazione in pubblico (di cui Baldini stesso era un campione insuperabile). Questi monologhi si strutturano in catene aperte di associazioni che sembrano deragliare all'infinito, ma che invece vengono sapientemente ricondotte al punto di partenza o culminano in una riflessione finale nella quale l'autore, quasi appartato dietro ai suoi personaggi, fa sentire la sua voce ironica e malinconica. Tutti i suoi personaggi sono dei falliti, ma con ossessioni geniali. Baldini li ama profondamente e li fa amare a tutti i suoi lettori.
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