Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare
Hrabal si colloca alla convergenza della linea metafisica di Kafka-Meyrink con quella scurrile-loquace di Hasek, fondendo due fondamentali aspetti della sostanza di Praga. Ma a tutto questo va aggiunto l'influsso della corrente surrealistica, che in Boemia ebbe grande rigoglio. Dal surrealismo derivano le luccicanti metafore oniriche, il gusto delle réclames e delle etichette, certi oggetti (orologi, specchi, rose di carta, bare, angeli di drogheria), e le misture macabro-dolciarie, e l'umor nero. I racconti di questa raccolta traboccano di rottami e cartacce e detriti di robivecchi, d'un "bric-à-brac" da Marché aux Puces, di cianfrusaglie e di ninnoli Kitsch, di tabelle votive e di attrezzi in disuso, di statuette di antichi guerrieri foggiate per l'elevazione del popolo, di ritratti oleografici in serie, che dànno accessi di vomito agli stessi pinturicchi, - e fra i relitti campeggia il terribile e turpe monumento al Generalissimo, che imbrattò il panorama di Praga. Il surrealistico ardore per gli oggetti fornisce dunque a Hrabal il destro per adombrare il malgusto e la nausea d'un tempo che si spera tramontato per sempre, l'arrugginito arredo di un mondo, che non era vita ma scarico di macerie, l'atmosfera malsana d'una dimora di spettri, in cui si rifiuta di abitare. (Dalla prefazione di Angelo Maria Ripellino) Sette racconti ironico-grotteschi ambientati negli anni piú duri e bui dello stalinismo. I piccoli eroi di questo libro sono omini da nulla che, "a dispetto delle regole livellatrici e nemiche della fantasia, conservano ancora un grano di follia". Questi fantasticatori sono anzitutto degli insicuri e degli offesi che inventano senza risparmio universi lunatici: la loro conversazione è fitta di aneddoti, di frottole in cui l'immaginazione prende la rivincita sulla meschina realtà con risultati di intensa comicità.