L'ultima casa prima del bosco
Giacomo Impronta è un uomo privo di coscienza e con molte identità: il suo egotismo lo isola dal mondo e dagli affetti ma lo tiene a galla nella corrente dei giorni. Il caso irrompe sotto le apparenze di un vecchio archivio condominiale, che ripercorre gli anni dal 1920 ai giorni nostri e lo travolge in una curiosità per la prima voIta appassionata. Dietro Giacomo Impronta c'è solo una lavagna e nessuna cultura: centinaia di fogli, di lettere, di circolari ministeriali, di relazioni dei lavori, tutto è nuovo. Il passato e il presente si alternano e spesso si collegano in fatalità storiche. Come in lui anche nei molti personaggi che lo circondano ci sono lacerazioni e drammi non detti. In un dittico, le due parti del romanzo si fronteggiano e si aprono su orizzonti contrastanti; la città e di contro la montagna e la natura dove affioreranno molti segreti, le cause dei dolori nascosti. C'è qualche cosa di prezioso, in questo romanzo di Francesca Sanvitale: la percezione che il passato non è un'entità astratta, ma una somma di minuscoli gesti, una successione di istanti presenti e vivi. Ricostruire le voci della Storia e le radici delle storie personali significa fare un lavoro paziente, accostando minuscoli frammenti di vita, con una scrittura essenziale che riporta fino a noi persino la fatica perduta. Perché "costruire una strada era come costruire un poema, una musica. Rappresentava uno dei tanti straordinari racconti del lavoro umano, composto di regole e abilità precise, veniva da fogli fantasma, da un'epoca stralciata via".