La lucertola color smeraldo
Irene viene violentata. A pochi metri da lei, nascosto dietro un cespuglio, c'è un testimone muto, incapace d'intervenire. Tutto ruota intorno a quell'evento mai davvero raccontato. Se si dovesse ridurlo a parole, quell'evento risulterebbe seriale, terribile e vuoto al tempo stesso. Ma quel che fa questo libro è esattamente l'opposto: è farlo deflagrare con le parole, attraverso il racconto. Al centro della narrazione non c'è la persona che ha subito la violenza, né chi l'ha perpetrata, bensì lo sguardo - sconvolto ed elettrizzato al tempo stesso, quindi doppio, tragico - di chi l'ha contemplata. E' lui, Ivan, a raccontare, per salvarsi e capirsi, per "ricucire il mondo", delle storie alternative e possibili, mettendosi nei panni della ragazza come da piccolo, su consiglio del nonno, si metteva nei panni delle lucertole. E le storie che Ivan racconta, inscatolandole l'una nell'altra in un infinito circuito affabulatorio che moltiplica i punti di vista, sono anch'esse doppie: belle e dure, false e vere, minute e pazzesche. Nella storia che Ivan immagina per Irene c'è posto anche per lui, e per la possibilità di dire l'indicibile attraverso un'armonica concepita come una personalissima "arma da bocca": uno strumento capace di scuotere i corpi della gente, di suonare, fino alla fine, le contraddizioni.
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