Via d'erba
Anche la sordida e misera vita dei sobborghi moscoviti degli anni Quaranta può rinascere e palpitare sotto lo sguardo penetrante e ironico di uno scrittore acclamato fra i maggiori autori russi viventi. Asar Eppel' scrive storie che, pur avendo per tema l'aspetto più disperato e meschino della quotidianità sovietica, danno al lettore il sottile godimento dell'opera calibrata secondo un sapientissimo congegno formale, cesellata in ogni giro di frase, narrata per allusioni e intrusioni nei più remoti dettagli dell'esistenza umana. Ed è proprio l'inconsueta minuziosità di descrizioni esuberanti che rende straordinariamente vivi personaggi, luoghi, passioni. Vi sono gli adolescenti in preda all'irrompere dell'eros, i geni che si arrabattano, per vivere decorosamente nello sfacelo del dopoguerra, personaggi miti, ignari del male del mondo, che subiscono le angherie di chi è già completamente deluso dalla vita, per tutti durissima. I protagonisti di questi racconti sono spesso ebrei russi che vivono il dissidio di una doppia identità, quella che danno loro, la millenaria tradizione ebraica e quella sovietica. Una soffusa, trattenuta nostalgia si acquatta fra le pieghe di ogni racconto e controbilancia lievemente l'umorismo di fondo, come nella migliore narrativa ebraico-orientale, di cui Eppel' è l'erede, colui che ha saputo reinventare in prosa la poesia dei quadri di Marc Chagall ed è riuscito a creare un'originalissima combinazione fra il linguaggio barocco di Bruno Schultz e lo stile lapidario e scultoreo, di Isaac Babel'.
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