Il pittore, l'umanista e il cagnolino
Siamo a Venezia, nel 1502. Ci troviamo nello studio di un umanista. Una luce nitida e dolce entra dalla finestra: illumina gli scaffali pieni di libri e statuette, lambisce il pelo del piccolo cane bianco accucciato che guarda curioso il padrone, seduto allo scrittoio, rapito dalla luce. Siamo in un dipinto: la "Visione di Sant'Agostino" di Vettore Carpaccio. In questo libro, leggero e minuzioso come una favola umanistica, Giorgio de Marchis ci conduce in un vero e proprio viaggio all'interno del quadro. Ma è un viaggio che inizia da lontano, dalle origini della città di Venezia; attraversa poi la splendida fioritura dell'umanesimo quattrocentesco e si conclude nell'irripetibile stagione del Rinascimento veneziano. Lungo la strada incontriamo papi e cardinali, dogi e umanisti, e naturalmente pittori: Antonello da Messina, Giovanni Bellini e soprattutto Vettore Carpaccio, nato intorno al 1465 e autore delle celebri serie di teleri che hanno per protagonisti sant'Orsola, san Giorgio, san Girolamo. La pittura di Carpaccio, però, non è pittura sacra: sono le gesta di cavalieri, santi, frati e principesse, narrate in punta di pennello con la felicità di chi racconta una fiaba. Giorgio de Marchis sa bene che, come diceva Flaubert, "Dio abita nel dettaglio", e ci propone una visione ravvicinata del dipinto, a lungo scambiato per un "San Girolamo nello studio", custodito nella veneziana scuola di San Giorgio. Attraverso l'analisi di ogni oggetto che compare nel quadro emergono numerose novità: dalla vera iconografia del dipinto all'identità dei due personaggi, il dottore della Chiesa e il cagnolino. Scopriremo così qual è in realtà il santo raffigurato, e quale importante umanista ne costituì il modello; e sapremo, infine, come il pittore si sia maliziosamente ritagliato una parte in questo quadro che "non rappresenta un luogo ma è esso stesso un luogo".
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