Grandi ustionati

Grandi ustionati

"Eh, lo so, gli dice Tractor, lo so che state soffrendo, vecchi cuori nerazzurri, ma abbiate fiducia, che la squadra va sempre sostenuta". Learco ascolta la radio, immobile. Qual è il motivo per cui un tipo cosí, che porta il nome di un mostro dei ciclismo anni Trenta, Learco Guerra, e quello di Enzo Ferrari, e che non riesce a star fermo, adesso se ne sta bello tranquillo ad ascoltare la radio? Perché la 'macchinina' dei romanzi precedenti, accessorio indispensabile quanto la gatta Paolo, è stata distrutta da un'Argenta guidata da due albanesi, e Learco ha preso fuoco. Ora è ricoverato al reparto Grandi ustionati, e va scoprendo che si tratta di un intero mondo alla rovescia, 'carnascialesco', dove tutto funziona al contrario, anche il corpo ustionato di Learco, forzato alla quasi immobilità, che si gonfia e si sgonfia come una pompa. Quando poi Learco esce dal mondo stregato dell'ospedale, e cerca lentamente di tornare a una 'normalità' che forse non è mai esistita, fatta di brevi attimi felici, di comiche voci ascoltate, di immagini chiare e sospese in un soffio di grazia, qualcosa di nuovo lo fa inciampare. E il romanzo vive a sua volta come sospeso, tra una tragedia quasi avvenuta e un'altra sempre imminente. Mai come questa volta, però, in questa sospensione del tempo Nori è riuscito a catturare, deformandole eppure restituendone il timbro, una folla di voci che tutte insieme rendono, in un fitto intreccio, l'assoluto nonsenso della realtà.
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