Il culto dei morti nell'Italia contemporanea
Alle due di notte in televisione, lo spot d'un telefono erotico offre l'opportunità di ascoltare la vera voce di Moana Pozzi, registrata prima della morte.I mazzi di fiori, le targhette, le piccole lapidi che segnalano sui bordi delle nostre strade la morte di qualcuno, per incidente, proprio in quel punto.Un'azienda produttrice di bare propone un'innovazione di prodotto: bare dai colori vivaci, decorate a stelle e a strisce, o intarsiate in stile rustico o liberty. Tutto questo, e molto altro, vero o inventato che sia, si trova nel nuovo e singolare libro di Giulio Mozzi, Il culto dei morti nell'Italia contemporanea.Non deve ingannare il titolo, quasi da saggio antropologico: si tratta in realtà d'un poema di circa tremila versi, divisi in tredici sezioni dai titoli bizzarri. Il culto dei morti è una sorta di indagine a campione - a tratti comica e a tratti atroce, con ben poche aperture liriche - tra tutto ciò che si fa o si dice o si commercia, oggi, in Italia, a proposito della morte, dei morti, del morire e dell'aldilà. E la morte diventa addirittura un gioco (un gioco a violare tabù) nella sezione "Il nome della persona amata", scritta a quattro mani con Giuseppe Caliceti: un testo da agire in pubblico, nel quale il lettore/giocatore è guidato prima a far morire nei modi più terribili, e poi a far risorgere - ma per finta - la persona più amata.Il Mozzi elegiaco e sentimentale di Questo è il giardino o della Felicità terrena - le sue prime raccolte di racconti - sembra lontanissimo. Nel Culto dei morti agisce un poeta-narratore distaccato, ironico e brutale; e la voce di Mozzi si confonde - e quasi si perde - nel montaggio di episodi, ritagli di giornale, frasi banali sentite dire per strada, headlines pubblicitarie, spot televisivi, ritagli della vita quotidiana.
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