Spie di Dio
Saper raccontare l'infanzia, tempo dell'avventura e della scoperta, della noia in agguato e dei mille modi per sfuggirle, non è dono di tutti i narratori. Lo sguardo non dev'essere troppo indulgente, e il mistero deve restare mistero. Ancor meno facile raccontare lo straniamento dell'adulto in 'esilio' in un paese lontano per fuggire la guerra, diviso tra la paura di non ricordare, perdendo origine e identità, e la condanna e ricordare il dolore e la morte che si è lasciato alle spalle.Aleksandar Hemon, giovane di Sarajevo trapiantato a Chicago, ha dovuto mettere insieme le due esperienze: la vita tragicomica in un regime comunista, la vita tragicomica nell'America delle grandi opportunità. In mezzo, la distruzione della guerra. Uomini e donne presi di mira da cecchini appostati in alto, invisibili come divinità capricciose; uomini e donne schiacciati come scarafaggi: è successo nei giorni non lontani dell'assedio di Sarajevo, succede ancora in molti luoghi del mondo. Otto racconti compongono "Spie di Dio" ma il lettore, giunto alla fine, seguendo le tracce disseminate nelle storie, si accorgerà di aver concluso uno dei più intensi romanzi degli ultimi anni. In queste pagine ritorna spesso l'immagine di uno sguardo onnisciente che tutto vede e controlla. La paura del piccolo iugoslavo, ossessionato all'idea che il compagno Tito conosca ogni sua mossa, ogni sua marachella, si rovescia per l'adulto rifugiato in America nel desiderio paradossale di sentirsi osservato da qualcuno, di sfuggire all'indifferenza del libero mercato. Come una spia, che si crea identità sempre nuove, l'esule è costretto a ricominciare da capo. "Solo i più adatti sopravvivono", ripetono i veri americani intorno a lui, e sembra parlino della corsa sotto l'occhio attento del cecchino. Ma se la vita e la fortuna gli hanno fatto dono di genio e talento, il giovane esule potrà trovare nella lingua d'adozione le parole per ribattezzare gli alberi e i fiori, e raccontare agli altri le sue [...]
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