Mistandivò
Le avventure di un gruppo di vitelloni di provincia in cerca di un centro di gravità nel Salento della taranta e della grande fuga al Nord. Sullo sfondo: un Meridione d'Italia tenacemente privo di opportunità esistenziali e lavorative, ma anche miracolosamente prodigo di energia vitale e, insomma, meta finale e inesorabile di ambizioni e peregrinazioni. Al centro: una masnada di trentenni piccolo-borghesi che si agitano alla ricerca di un traguardo sempre procrastinato. I protagonisti dei racconti di questo libro - inanellati coralmente fino a suggerire il senso di un romanzo - sono alle prese con brandelli di impegno politico ridotto a pura ciarla da tavolino del bar, e con studi da portare a termine o carriere da principiare, serate picaresche alla ricerca di un rave 'alternativo' e sterminati cenoni di Natale, con il presepio e la processione e i bambini che si addormentano sfiniti. In sottofondo, la musica della taranta suonata dalle tante bands salentine. Ci imbattiamo così in Redingote, prima grafico multimediale civettone e poi padre di famiglia, e in 'mpa' Gino, fine intellettuale e operatore di call center per necessità, e via noverando: Teresa, emigrata in una Padania submodenese dove fa l'avvocato e Giacomo, che la fortuna, al Nord, l'ha fatta, ma fa una vita orrenda e sogna anche lui di ritornare. In "Mistandivò" i conflitti sono rappresentati con una forza comica che ne accentua i tratti, fin sull'orlo del fumettistico e del grottesco. Mentre la narrazione si frantuma e si moltiplica, affidandosi ai toni di una lingua farsesca e irridente, nutrita di una contaminazione espressiva che mescola dialetto e linguaggio televisivo, suggestioni auliche e slang giovanile.
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