La neve e la colpa
"E così viviamo sballottati tra rivelazioni e ignoranza, innocenza e colpa". Questo pensa Chaim, uno dei quattro dottori che ai piedi della parete del Gran Sasso s'interrogano sulle ragioni della colpa, scontando sulla propria pelle l'inadeguatezza del pensiero al gioco definitivo del destino. La dolorosa consapevolezza esplicitamente espressa nel primo racconto attraversa tutte le cinque storie dell'ultimo libro di Giorgio Pressburger, collegate fra loro come singolari "ricordi di scuola", tracce di memoria di una classe che non può essere "morta", come quella famosa di Tadeusz Kantor. Tutti i protagonisti di "La neve e la colpa" sono abitati da fantasmi che assediano le loro vite e le loro coscienze. I sogni inquieti di Chaim hanno la stessa ambigua e dolorosa sostanza delle ossessive profferte d'amore della bella Regina che si dà, sino al sacrificio di sé, allo scienziato Fleischmann mettendone a nudo la coscienza devastata, ed evocano anche la desolazione della vita del miliardario della terza storia, che paga il definitivo sradicamento dalla sua terra con la perdita del passato e del futuro. Nel quarto racconto è invece un gattino agonizzante a imbrattare, come per un marchio d'infamia, il volto e il cuore di uno stimato professionista. La figura dolente dell'uomo moderno, lacerato, diviso, e irriducibilmente doppio nell'ostinata negazione dei propri fantasmi, diventa carne e sangue nell'ultimo dei racconti, dove un essere deforme, Abramo, una sorta di oscena e grottesca caricatura del patriarca, affida a raglianti risate, belati e grugniti la sua storia di vittima e aguzzino a suggello dell'insensato, mostruoso e impotente ventesimo secolo, condannato a "penzolare nel presente come un impiccato che non riesce a morire" della morte che lui stesso si è data. Ma un'altra vera presenza illumina e rasserena il libro, quella del fratello di Giorgio Pressburger, Nicola, autore del racconto "L'inseguimento".
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