Carabattole
"Avaro di me stesso quanto può esserlo un bifolco dei propri soldi; incatenato dalla paura; reticente in amore; felice di recitare la parte del torero, ma senza mai trovarmi di fronte a un toro vero, e quella del don Giovanni, ma senza conquiste nè sfide al Commendatore; ormai dotato di esistenza solo negli scritti, e sempre intento a formulare sentenze che hanno il tono remoto delle parole supreme, quasi che le mie dita fossero già serrate dal guanto di pietra della morte". Così scrive di sé Michel Leiris in "Carabattole", libro-confessione. Un meticoloso scandaglio di memorie, accanto al "percorso ufficiale" degli eventi, si dispiega in un "cammino sotterraneo alla ricerca dell'immoralità e della mediocrità del protagonista. Un percorso di verità fra esperienza, riflessione analitica e identificazione emotiva che assume carattere paradigmatico dell'uomo novecentesco. Secondo libro della "regola del gioco", cioé del ciclo autobiografico complessivo, "Carabattole" ne è forse il momento più alto e coinvolgente, rievocando soprattutto gli anni dell'adolescenza e giovanili: la passione per le corse dei cavalli e i giochi di ruolo di Leiris ragazzo, prefigurazioni del desiderio per un destino di "cadetto", il gusto estetico del secondo arrivato. E poi la vita militare in Africa del Nord, l'apprendistato a una guerra finta (ancora una tauromachia senza toro), e infine il grande amore per la prostituta Khadigia. Il primato del linguaggio in letteratura, il sogno e l'eros come momenti di rivelazione esistenziale e poetica, l'interesse per il mito e il sacro, lo studio delle civiltà primitive.
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