L'immagine dell'uomo. Lo stereotipo maschile nell'epoca moderna
Nato a fine Settecento, quando le tesi di Leclerc de Buffon, la fisiognomica di Lavater e l'opera di Winkelmann rinvigoriscono l'antico detto: "mens sana in corpore sano" e affermatosi nell'Ottocento, lo stereotipo positivo della bellezza del corpo maschile gioca un ruolo di primo piano nella costruzione dell'idea di nazione e nell'edificazione dei simboli forti del nazismo e del fascismo come dei socialismi reali. Sviluppandosi poi, senza sostanziali cambiamenti, fino ai nostri giorni quando, per la crescita dei movimenti antirazzisti, femministi e omosessuali, si trova ad affrontare la crisi forse più difficile. Forte dell'efficacia e immediatezza dell'immagine, lo stereotipo maschile non solo definisce chiaramente il tipo ideale a cui ispirarsi, ma forgia anche, per contrasto, la figura dell'escluso, il controtipo: di volta in volta, l'ebreo, l'omosessuale, lo zingaro, il pazzo, il criminale comune. Colui, cioé, che per aspetto incarna l'esatto contrario del vero uomo e viene a rappresentare una minaccia per la società. Non va ignorato il ruolo della virilità moderna nella logica del pregiudizio: lo stereotipo maschile, presentandosi come cura contro la degenerazione, ha più volte offerto alle classi dominanti negli ultimi due secoli un'arma efficace per riconoscere e classificare i suoi nemici. Diventa allora urgente nella società della comunicazione e dell'immagine, in un'epoca cioé sempre più orientata verso la dimensione visiva come quella contemporanea, interrogarsi sul ruolo del concetto di bellezza e sul modo in cui esso può ancora influenzare i simboli della nostra vita pubblica e privata.
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