Ombre
Che Gombrich sia un lettore impareggiabile di opere pittoriche, come pochi capace di mostrarci aspetti complessi della storia artistica con straordinaria evidenza e lucidità, è noto a quanti ne hanno via via letto tanto le raccolte di saggi quanto le opere più sistematiche e organiche. La conferma viene da questo suo lavoro, che ci aiuta a rileggere un gruppo di opere che rappresentano i momenti più significativi dell'arte occidentale. Gombrich si muove con la sovrana libertà che gli consente la sua eccezionale competenza, ed il lettore vede accendersi quella che fino ad ora restava, è il caso di dirlo, una "zona d'ombra" della storia dell'arte. Perché di ombre ci parla: mostrandone la presenza a partire dalla lucidità "scientifica" di Masaccio, per toccare le sottigliezze di Leonardo, fino a collegare le teatrali drammatizzazioni di Rembrandt o Caravaggio alle elaborazioni che appartengono più direttamente alla nostra esperienza, per esempio nei montaggi suggestivi di De Chirico o nelle ricerche di un fotografo del calibro di Cartier-Bresson, attraversando momenti significativi come quelli suggeriti da Tiepolo, Guadi, Turner.Non gli oggetti che sono nei quadri, ma la loro ombra fa da filo conduttore. Gombrich ci parla della presenza di qualcosa di incorporeo, che diventa reale solo perché può essere guardato, e quindi rappresentato figurativamente. E nel contempo ci mostra l'importanza di qualcosa che, nell'alternanza di zone chiare e scure, disegna gli oggetti, consentendoci di identificarne la forma. L'ombra portata, come si dice nel lingaggio specializzato, che un corpo investito dalla luce proietta sul pavimento o sul muro, spiega Gombrich, è una realtà descrivibile, raccontabile, è figurativamente tangibile, al contrario di quell'insieme di altri elementi che pure, nel quadro, di luci e di ombre sono fatti. L'ombra che ci appare effimera e sfuggente ha dunque una evidenza semantica che non può essere spiegata con le leggi dell'ottica, si sottrae alla [...]
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