La felicità terrena
A prima vista può sembrare che il talento di Mozzi sia tutto nel raccontarci la vita ordinaria, le cose che succedono, le minime avventure dei sentimenti. Eppure basta calarsi in uno di questo laconici resoconti di inermi creature, per sentire una ferita nella carne. La minaccia appena presentita di uno scacco esistenziale, l'irruzione della follia, dell'amore, del male, di una presenza divina o del caso ed ecco che la vita si rivela come un mistero incomprensibile e frenetico. Ma il mistero non è oltre il ciglio della strada o sul crepaccio: è la vita stessa, quotidiana e cangiante, domestica e terribile, che "le anime" di Mozzi attraversano con la grazia di angeli inconsapevoli del proprio dono. Tra uffici postali e orfanotrofi, appartamenti dimessi e treni di seconda classe, incontriamo Vanessa, una giovane impiegata che parla con il diavolo attraversole macchine dei conti correnti. Lele, cameriere part-time, che con in tasca due milioni e mezzo trovati in una cabina del telefono vive un inutile notte di iniziazione; Maria Annunziata, dattilografa, che fa fronte alla morte del figlio di quattro anni semplicemente negandola e trova nella vita col fantasma del bambino un'immaginaria e verissima felicità terrena; la storia pia di Severo e la sua morte improvvisa. E lo stile, scarno come la pietra, ha un ritmo raccolto e solo un po' accelerato, come il battito di un cuore giovane.