I libri della famiglia
Sulla funzione "civile" dell'umanesimo italiano - e, tra gli altri dell'Alberti - si è molto insistito in questi ultimi anni. E la tesi, certo, aveva dell'affascinante. Ma essa regge veramente all'analisi dei fatti? Che questo movimento sia stato uno dei più alti distillati d'intelligenza, che la storia dell'uomo possa noverare, come contestarlo? Ma, del pari, come contestare che quel movimento non ebbe nulla di "civile", se per civile si vuol intendere al servizio di una civitas che aspira ad essere composta da membri liberi ed eguali? Al concetto d'umanesimo "civile" va invece certamente attribuito il merito - come anche il Cantimori ha rilevato - d'aver contribuito a chiarire, "e contrario", molte delle contraddizioni che si annidavano (e tuttora s'annidano) nel concetto di Rinascimento (ma questo è, ovviamente, tutt'altro discorso). Pel resto, esso ci sembra solo un generoso tentativo d'aggiungere patenti di nobiltà a quel movimento che, a sua guisa, era già sufficientemente nobile. Allo stesso modo non ci sembra che attribuire qualifiche di "moderno", "capitalistico", "borghese" all'Alberti siano mezzi atti ad apportare utili elementi per una chiara comprensione ed una precisa valutazione del suo pensiero. E' certo che, nello studio di un personaggio o d'un qualsivoglia tema, occorre mettersi in posizione di simpatia (id est, d'egual animo) con l'oggetto di studio. Ma, per simpatia, non occorre aggiungere titoli, decernere diplomi che sono in buona parte abusivi, attribuire particolari patenti. (Dalla introduzione di Ruggiero Romano e Alberto Tenenti)
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